Genova. La sezione genovese di Legambiente ha esaminato i documenti cartografici e normativi relativi al progetto preliminare del Puc, messi a disposizione della giunta nello scorso mese di dicembre. Secondo l’associazione, se alcuni aspetti sono condivisibili, altri invece sono da rivedere e cambiare.
Partiamo dai punti di punti di condivisione.“Siamo d’accordo sul sistema città porto sostenibile Mediterraneo Europa, riteniamo opportune l’ individuazione delle aree di concertazione città porto e la decisione di privilegiare la linea ferroviaria verso nord per il trasporto delle merci in uscita-entrata dal porto in modo da non gravare sul tessuto urbano – spiegano dalla direzione di Legambiente – Sul rapporto da ricostruire tra verde, mare e insediamento urbano; sul rinnovamento , sulla riconversione dell’esistente e sul no al consumo di suolo e all’espansione oltre la linea blu e verde; sul privilegiare il trasporto pubblico su ferro per merci e persone per garantire la qualità urbana; sulla prevista tramvia in val Bisagno; sullo studio demografico finalizzato alla comprensione della struttura della popolazione esistente finalizzata alla caratterizzazione e dimensionamento dei servizi e all’integrazione sociale; sulla metropolitanizzazione della linea ferroviaria a mare in funzione del trasporto pubblico capillare e infine sulla riconferma integrale del parco pubblico dell’Acquasola”.
Se questi sono i punti apprezzati dall’associazione ambientalista, molti sono quelli su cui si scatenano perplessità, in primis sulla non ancora percepibile innovazione e discontinuità col Puc 2000 e con la struttura vecchia, sorpassata e inattuata della legge urbanistica regionale 36/1997 e sulla non attivazione della Valutazione Ambientale Strategica ai sensi della direttiva europea che prevede in maniera vincolante sia la partecipazione dal momento dell’ideazione, progettazione, gestione e verifica sia la sostenibilità ambientale delle previsioni, sia la valutazione preventiva spaziale e sociale degli effetti sull’ambiente degli interventi previsti dal Puc.
Secondo Legambiente, poi “Non è chiara l’esplicitazione delle proprie determinazioni – spiegano – manca un documento cartografico unitario dello stato dei luoghi, degli edifici, in rapporto alle funzioni, all’ambiente, al paesaggio nonché all’esistente e alla pianificazione in atto.Documento che non può essere sostituito dall’Atlante delle criticità e opportunità in rapporto all’esistente e alla pianificazione in atto. Inoltre non è tradotta nei documenti di piano e in particolare nelle prescrizioni d’uso l’idea di città porto sostenibile”.
Per quanto riguarda i dissensi, invece: “Non è esplicitata nel suo complesso né la coerenza tra obbiettivi, priorità e modalità, né la unitarietà dell’impianto di funzionamento del sistema territoriale, spezzettate in tavole diverse, difficilmente confrontabili e talora contraddittorie tra loro ( tavole infrastrutture , assetto, servizi, verde) e Il Piano non attua pienamente il principio costituzionale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e ambientale degli insediamenti storici e i paesaggi presenti in maniera diffusa su tutto il territorio cittadino e metropolitano”, continuano.
“Il peso insediativo del piano è determinato, come si evince dall’articolo 27 delle norme generali, sulla base dei parametri previsti dalla legge regionale 36 al fine della verifica e computo degli standard urbanistici ai diversi livelli territoriali. Gli standard adottati sono calcolati solo a livello di quartiere 18mq per abitante e non sono aggiunti nel conto gli spazi di interesse generale ( istruzione, sanità, parchi urbani ) 17,5 mq per abitante. Questi sono comunque considerati dalla legge standard minimi, limiti inderogabili che quasi tutte le regioni italiane hanno incrementato – dichiarano nell’analisi – Non c’è inoltre un riferimento alla zonizzazione territoriale omogenea di cui al decreto ministeriale 2/4/68 art.2 Riteniamo che nel calcolo degli standard non possano essere compresi quelli Ers ( edilizia residenziale e sociale ) perché non è previsto dal decreto ministeriale 2/4/68”.
“La monetizzazione delle aree per gli standard, per quanto forse ammissibile legalmente, lede comunque il diritto che ‘ogni abitante insediato e da insediare’ ha secondo il decreto ministeriale 2/4/68 di avere a disposizione aree fruibili “per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie”, nonché “per spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale, istruzione superiore all’obbligo ( istituti universitari esclusi), attrezzature sanitarie ospedaliere e parchi pubblici urbani e territoriali. Questa metodologia di monetizzazione delle aree per servizi favorisce l’interesse privato e ha determinato nei decenni uno squilibrio tra quartiere e quartiere, squilibrio che il preliminare del Puc non intende, né sanare per l’esistente, né pianificare per il futuro.La ragione di fare cassa per riequilibrare il bilancio non può essere addotta come motivazione giustificabile per la lesione di diritti costituzionalmente fondati”.
“Secondo le norme tecniche del preliminare del Puc avrebbe il fine di riqualificare il territorio trasferendo i diritti edificatori in altri ambiti nei casi di demolizione e ricostruzione preventivamente selezionati. In realtà si tratta di una riproposizione attenuata del micidiale trasferimento dei volumi del vigente Puc 2000 di Genova procedendo con la metodologia del caso per caso. C’è un altro modo di intendere la perequazione urbanistica quando è supportata dall’interesse collettivo agendo sulla base del principio di separazione del diritto ad edificare dal diritto di proprietà”.
Legambiente ha già più volte ribadito in vari contesti che le aree urbane ritenute adatte alla produzione sostenibile devono essere destinate soltanto a tale funzione eliminando quelle di carattere commerciale e residenziale.”Questo fenomeno dell’ambiguità delle destinazioni d’uso tra quelle produttive, commerciali e residenziali si verifica in particolare in molti distretti di trasformazione ed è particolarmente dannoso per l’interesse pubblico in termini di vivibilità, occupazione, ambiente, servizi e mobilità”.
Un altro argomento di dissenso è quello riguardante i parcheggi, la mobilità e le aree di pedonalizzazione. “La contraddizione tra il Puc e il Pum in termini di mobilità è evidente per due aspetti: non esiste una riorganizzazione dei parcheggi di superficie e sottosuolo, in assenza per di più di una carta dei parcheggi esistenti e previsti , né una carta che colleghi e separi i flussi di traffico e i percorsi pedonali in modo da consentire una accessibilità sostenibile. E’ nostra opinione, come dimostra l’esempio seguito da molte città italiane, che allo stato attuale di difficoltà di agire sulle infrastrutture viarie, si debba promuovere una politica delle aree di pedonalizzazione viste integrate col tessuto urbano in coerenza con la già definita direttiva europea che prevede l’obbiettivo di arrivare a città senza auto private”.
Infine si parla dell’assetto complessivo. “Il concetto principale adottato dal Puc del ‘costruire sul costruito’, in linea di principio ammissibile, in realtà si traduce in un sistematico riempimento dei vuoti urbani che via via dal dopoguerra ad oggi si sono ridotti enormemente. In particolare col metodo adottato degli interventi separati, caso per caso, in contraddizione con una profonda e qualificata ristrutturazione urbana, non si rinnova nulla, si reiterano soltanto gli errori precedenti di localizzazione, di carico insediativo e di dotazione di servizi”, spiegano.
Sulla base dei punti precedenti, Legambiente si dichiara “Disponibile a entrare nel merito e a collaborare nel caso di accoglimento delle modifiche che a noi paiono ineludibili in termini urbanistici, giuridici e sociali e paesaggistici”.