Economia

Tirreno Power pronta a investimeno superiore a call option Fiat su Chrysler

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Vado Ligure. L’american dream della Fiat si sta concretizzando, mentre il più nostrano sogno vadese di Tirreno Power, dopo undici anni di trattative, rimane ancora appunto un sogno per l’azienda. E un incubo per i comitati anti-carbone. Paragone azzardato, ma non dal punto di vista finanziario perché se il Lingotto mette in campo 1,26 miliardi di dollari (860 milioni di euro) per aumentare a 46% la partecipazione in Chrysler, l’azienda energetica è disponibile ad investire 1 miliardo e 200 milioni di euro per l’ampliamento della centrale termoelettrica di Vado e di ulteriori 200 milioni per le fonti rinnovabili.

Logistica dell’area, consolidata presenza dell’impianto, attività produttiva storica nell’area vadese: sono tutte ragioni che hanno indotto TP ad aspettare per ottenere l’autorizzazione all’ampliamento, dopo una girandola di incontri istituzionali diluita negli anni e che ora è arrivata al capolinea. La giunta regionale di Burlando ha formulato la sua delibera propositiva, inducendo l’azienda a fare concessioni sull’impatto ambientale e questa ha accettato, ricalibrando: costruzione del nuovo gruppo a carbone da 460 Mw e di due unità gemelle, da 330 Mw, in sostituzione di quelle ormai obsolete esistenti.

Il termine per trovare la quadra era lo scorso 15 aprile. Ora si profila una nuova scadenza: i giorni immediatamente successivi all’appuntamento elettorale di metà maggio. Perché è evidente che solo allora Regione e azienda potranno tornare a confrontarsi per inanellare l’accordo. Salvo ulteriori tattiche dilatorie che spingerebbero Tirreno Power a rinunciare definitivamente al progetto, il che significherebbe esclusione di qualsiasi investimento sulle strutture, degli ammodernamenti e delle riduzioni emissive. Su Genova significherebbe un “grave colpo” (così lo hanno definito i sindacati) per Ansaldo Energia, che vedrebbe vaporizzarsi una commessa ingente, con pesanti ricadute occupazionali, già attualmente critiche viste le difficoltà in Nordafrica e la moratoria italiana sul nucleare.

TP ha più sottolineato come il carbone e soprattutto il combinato con altre fonti produttive di energia sia una strada consolidata in Italia. Il base ai dati Eurostat, questo è il mix delle fonti per la produzione di energia elettrica in Italia: 49% gas naturale, 13% idrica, 12% carbone, 11% nucleare (di importazione da Oltralpe, nei dati ufficiali incredibilmente fatta apparire come “fonti rinnovabili”), 9% petrolio, 1,5% eolico e solare, 1,5% geotermico, 3% altri. In Europa invece il mix dei 27 Paesi membri è così composto: 28% nucleare, 26% carbone, 23% gas naturale, 11% idrica, 3,7% eolico e solare, 3% petrolio, 0,2% geotermico, 5,5% altri.

L’azienda ha rimarcato l’impegno sotto il profilo ambientale, aspetto sui quali battagliano i comitati contrari all’ampliamento, con tre punti: copertura del parco a carbone, realizzazione di una rete moderna di monitoraggio a controllo pubblico, insediamento di un osservatorio di monitoraggio specifico presieduto dal Ministero della Sanità. “Garantiamo con queste proposte – si fa notare all’interno dell’azienda – non solo il rispetto degli obiettivi posti dagli enti pubblici, ma anche risultati ambientali decisamente migliori rispetto a quelli ottenibili con l’applicazione dell’AIA (Autorizzazione di Impatto Ambientale) ai gruppi da 330 Mw, determinando un ulteriore abbattimento delle emissioni del 40%”.

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