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Pro Recco, Mangiante su squalifica: “E’ un’ingiustizia, con lo sport ho chiuso”

andrea mangiante

Genova. “La società Pro Recco prende atto delle statuizioni contenute in sentenza pur non condividendo in alcun modo le argomentazioni in essa espresse”. Così inizia il comunicato che la società Ferla Pro Recco ha scritto e inviato nella serata di ieri, dopo la decisione del Tas di Losanna di confermare la squalifica di 2 anni per Andrea Mangiante per un rapporto testosterone/epitestosterone più alto del consentito.

“La decisione assunta dal Tas dopo una lunghissima gestazione, – spiegano gli avvocati Marco Cecconi e Guido Postiglione – già di per sé indice della particolare complessità della vicenda, se, da un lato, si rispetta come ogni decisione, dall’altro, non convince.
Non convince per più motivi: in primo luogo perché, di fatto ribalta i principi cardine del diritto, facendo diventare il sospetto condizione sufficiente per una condanna; in secondo luogo perché si vuole attribuire valenza colpevolistica ad una tesi scientifica, quella posta a base della decisione, che non è affatto certa ed è smentita da altre opposte e contrarie. Fa riflettere, e si auspica sia solo un caso, che nel breve volgere di qualche giorno il Tas, in passato sempre contraddistintosi per il particolare garantismo delle sue pronunce, si sia in due occasioni pronunciato sfavorevolmente in relazione ad atleti per i quali è stato ritenuto sufficiente, ai fini di una condanna, il mero sospetto, pur in presenza di elementi a favore della loro innocenza”.

Un commento anche da parte del diretto interessato: “Mi aspettavo qualcosa di meglio dal momento che hanno impiegato così tanto tempo per confermare la sentenza di primo grado, era il 10 dicembre, oggi è il 15 marzo. Mi sento cornuto e mazziato. I rinvii facevano pensare a qualcosa di diverso. Stare così in pena e poi essere trattato in questo modo: è un momento molto triste. E’ un’ingiustizia, sono stato trattato come il peggiore dei delinquenti, quattro mesi per confermare, mi sento preso in giro e qualcuno si deve fare un esame di coscienza”.

Quindi Mangiante attacca la Federazione: “Perchè non hanno presentato le controanalisi? Poi ho saputo che si potevano chiedere dal momento che risultavo positivo. Ho continuato a giocare e nessuno mi è venuto a dire niente, io so come comportarmi da atleta, da uomo, come mi hanno insegnato la mia famiglia e la pallanuoto, ma la mia conoscenza finisce qui. Nessuno mi ha detto che in un caso di anomalia si potevano chiedere le controanalisi e nemmeno che sarebbe stato aperto un fascicolo, mi sarei comportato in altro modo. Nessuno mi ha detto niente, non sono avvocato, né medico, non erano mie competenze, bensì di altri che evidentemente sono capaci solo a stare dietro una scrivania”.

“Non ho nulla da rimproverarmi: sono contento dell’operato dei miei avvocati Cecconi e Postiglione e del lavoro del professore D’Auria, tutti hanno lavorato ad un caso difficilissimo perché non avevano nulla in mano. Il così definito perito superpartes è stato messo in forte difficoltà, più di questo i miei non potevano fare. L’intelligenza porta a dichiarare questa storia assurda: arrivare all’ultimo giorno per confermare il primo grado è inaccettabile. Quello che non sopporto è avere perso 4 mesi, una tempistica insopportabile”.

Infine uno sguardo al futuro: “Con lo sport ho finito, ho chiuso e lo hanno deciso loro. Non so quanto tempo avrei ancora giocato di sicuro pensavo di fare qualcosa con i giovani per poi, magari, arrivare anche ad allenare ad alto livello. Per fortuna ho una famiglia straordinaria con una storia antica nel mondo della ristorazione, nessuno mi costringe, ci proverò”.

“Andrea deve essere fiero e orgoglioso di quello che ha fatto nello sport, – commenta Pino Porzio, allenatore della Pro Recco – non c’è nulla di cui si deve preoccupare. E’ un ragazzo pulito e questa è una sentenza ingiusta nei confronti di un atleta che è stato strumentalizzato per cose che non gli competono. E’ evidente che non è stato fatto tutto il possibile per cercare di evitare una squalifica ed anticipare l’interruzione di una carriera di un’atleta che è stato esemplare sia dal punto di vista sia sportivo sia umano. Non devo consigliare niente a nessuno ma fossi in lui ricorrerei alla Corte Europea: non esiste solo il danno sportivo, c’è anche quello di immagine, lavorativo, di professionalità . Non si può condannare un atleta per un sospetto, ripeto, fossi in lui andrei fino in fondo e chiederei anche i danni e qualcuno si dovrà anche assumere le proprie responsabilità”.

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