Genova. “Allo stato non c’é alcun elemento concreto che porti a ritenere che all’interno del container ci sia materiale esplosivo”. Ma le certezze, nella vicenda del container radioattivo sequestrato a luglio nel porto di Genova, il cui carico era destinato ad una ditta di Pozzolo Formigaro, nell’alessandrino, si avranno solo quando, dopo la scannerizzazione, potrà essere visibile il suo contenuto.
A questo proposito, in attesa dell’apertura, con un robot telecomandato a distanza, la Procura ha aperto un’inchiesta dove è indagato chi ha spedito il carico: si tratterebbe di un cittadino extracomunitario che, pare, non sia mai stato in Italia. Ipotesi di reato: trasporto di materiale radioattivo senza il rispetto della normativa di legge che, comunque, comporta una contravvenzione. Dai documenti di accompagnamento del container, da sei mesi, al sesto modulo del porto di Genova, sembra che all’interno si trovi del rame, a quanto scritto. Ad attestarlo ci sono anche delle foto di accompagnamento, ma così come non era stata segnalata la presenza del Cobalto 60, all’interno dello scatolone di ferro ci potrebbe essere anche altro materiale.
Per legge, tutto il materiale ferroso viene sottoposto ad esami radiometrici prima di essere sdoganato, ed è proprio in virtù di questi controlli che è stata rilevata la presenza del cobalto. Intanto la Prefettura evidenzia come non ci sia alcun pericolo al di là della schermatura, per l’incolumità delle persone, né per gli abitanti della zona, né per chi lavora in porto. Misurazioni sono state condotte dai tecnici di Arpal, Ispra, Vigili del fuoco del comando provinciale, dagli esperti del ministero dell’Interno e da alcune ditte private incaricate.
Molta l’attenzione prestata da parte del dipartimento dei vigili del fuoco del Viminale, data la delicatezza delle operazioni, anche perché le radiazioni sono molto intense, soprattutto nel punto di contatto della sorgente col container, che raggiunge l’intensità di 600 millisiver.