Genova. Il 27 gennaio al Teatro della Gioventù si svolgeranno gli Stati Generali degli spettacoli dal vivo. Si discuterà di come fare cultura al tempo della crisi, alla luce dei drammatici tagli nei trasferimenti di fondi all’intero settore. L’annuncio arriva dall’assessore regionale alla cultura Angelo Berlangieri, intervenuto ai lavori della tavola rotonda su “L’incidenza culturale dei Teatri minori” di ieri pomeriggio a Palazzo Ducale, promossa ed organizzata da Lunaria Teatro che nel 2011 celebra i suoi primi vent’anni di attività.
Berlangieri ha rivendicato l’importanza della cultura come risorsa capace di creare valore aggiunto, promozione del territorio, crescita del reddito e dell’occupazione, ma ha altresì denunciato il quadro drammatico che ha visto il bilancio regionale decurtato di ben 156 dei 210 milioni di cui disponeva fino ad un anno fa.
Si parlerà della capacità di intercettare nuovi partner capaci di garantire quella continuità operativa culturale nel territorio oggi messa seriamente a rischio dai drastici tagli nei trasferimenti di fondi statali, dell’esigenza di mettere a sistema Teatri ed Enti pubblici e della capacità di proporre comunque un’offerta di qualità nonostante l’oggettiva situazione di crisi, di tutto questo hanno parlato alcuni fra i massimi esperti italiani.
Margherita Rubino, docente universitaria e autrice teatrale, ha moderato il dibattito, animandolo fin da subito con un’autentica provocazione: «Bisognerebbe sganciare il teatro dalla sua tradizionale collocazione nel mondo della “cultura” – ha esordito la Rubino, da un anno consulente alla Promozione per il Comune di Genova – Il teatro è senza dubbio cultura, ma con i suoi 12 milioni di spettatori all’anno è anche fenomeno di massa e probabilmente, se per primi noi addetti ai lavori ce ne accorgessimo, come tale verrebbe trattato anche dai media».
Oliviero Ponte di Pino, studioso e critico teatrale, direttore editoriale di Garzanti Libri, ha fotografato la condizione del teatro italiano nel generale quadro di crisi: «La forte riduzione del sostegno pubblico alla cultura, con dichiarazioni a volte agghiaccianti e costanti tagli ad ogni forma di finanziamento, dal Fondo unico per lo spettacolo ai trasferimenti agli enti locali, denotano un contesto in cui è oggettivamente molto difficile fare teatro. E il rischio che corriamo è che, per salvare i teatri “maggiori”, vengano sacrificati sull’altare del bilancio i cosiddetti “minori”. Vale a dire quei teatri che, in Italia, non hanno oggi nessuna possibilità di diventare grandi, perché le giovani compagnie di ricerca e i registi emergenti sono ingabbiati in un teatro profondamente stratificato, piccolo, confinato: un “teatro bonsai”».
Mimma Gallina, organizzatrice teatrale tra le più apprezzate del panorama nazionale, ha tracciato un ritratto a due facce di quello che è il teatro in Liguria: «La ritrovata vivacità creativa che solo fino a qualche decennio fa Genova non conosceva, si scontra con la constatazione che la Liguria è la Regione del Nord Italia a spendere meno in cultura: a mancare è tutta una serie di finanziamenti a comparti che nemmeno esistono e che necessitano, pertanto, di strutturarsi ed essere messi a sistema: mancano i circuiti, i teatri d’innovazione, i teatri di figura, i progetti speciali. La strada verso cui la Liguria deve muoversi è quella delle Fondazioni private, che non possono certo sostituirsi agli enti pubblici, ma sull’esempio di altri modelli, come quello lombardo, possono costituire un importante punto di riferimento, varando linee di intervento a sostegno delle residenze, che sono nell’interesse tanto delle compagnie quanto dei territori su cui esse si appoggiano. Infine, la specificità della Liguria fa sì che il festival diventi la dimensione ideale entro cui giocare la partita dalla produzione e della promozione teatrale: d’altra parte Genova stessa, con il suo centro storico più grande d’Europa ed il meraviglioso palcoscenico rappresentato dal suo fronte mare, è di per sé una città-festival».
Silvio Ferrari, già assessore alla Cultura di Comune e Provincia di Genova e attualmente membro del consiglio d’amministrazione del Teatro Carlo Felice, partecipando al dibattito nelle vesti di presidente del Teatro Sociale di Camogli, ha rivendicato in un accorato intervento il primato che la proposta culturale deve avere anche in termini politici: «Rispetto a trent’anni fa il sistema cultura è stato vittima del passaggio di un’idea guasta e cioè che, in tempi di crisi, sia necessario risparmiare nel settore del presunto “spreco”. Tutti noi addetti ai lavori abbiamo subìto questo disegno, proprio di uno stato sudamericano e non certo di un paese come l’Italia, e oggi ne paghiamo le conseguenze, essendo i primi ad essere sacrificati in nome del bilancio. L’operazione Camogli – il cui Teatro Sociale è oggetto di un intervento di recupero finanziato da Fondazione Carige, Provincia di Genova, Comuni di Recco e Camogli – vuole essere un segnale in senso opposto, capace di andare, cioè, verso un rovesciamento di valori e di tendenze rispetto alla deriva attuale, che etichetta come superfluo, come sacrificabile, tutto ciò che a che fare con la cultura di una comunità».
«Se pensiamo alla giornata in cui a De Ferrari ci fu l’assemblea degli operatori della cultura e dello spettacolo, molto più concitata, penso che consessi come questo siano sulla strada verso cui bisogna andare. Mi limiterò ad alcune affermazioni: la questione mi sembra ormai più vasta, mi sembra che sia opportuno in questa circostanza – senza nulla togliere ai dati – venga fatta qualche riflessione generale: da sempre mi sono occupato di “minoranze”, ma il punto è che nel 1975 avevamo maturato come paese un’altra concezione. Ma le concezioni non sono sempiterne, le provi e poi puoi anche perderle: dieci anni fa, ci fu un convegno in cui Ugo Volli disse che il teatro era ormai un contenitore arcanico che si proponeva occasini di relazione diretta, perché il resto lo faceva già il cinema. 35 anni fa noi eravamo invece convinti che col teatro si dovessero risarcire le comunità cosiddette subalterne perché questo ci conveniva, consentiva di riprendere rapporti e contatti e migliorare la condizione ordinaria, non quella straordinaria. Quando vennero impiegate risorse per questo obiettivo, l’Italia non poteva comunque largheggiare sotto il profilo economico. Oggi invece abbiamo subito il passaggio di un’idea guasta: che siccome siamo in crisi, bisogna risparmiare nel settore del presunto “spreco”. Ma noi non siamo una repubblica sudamericana. Noi presi insieme, sul piano politico, abbiamo subito questo disegno e adesso ne subiamo le conseguenze: la distribuzione della ricchezza nel nostro paese non può essere discussa nei termini odierni, è opportuno investire tutte le istituzioni della tematica che è stata proposta in questi termini. Non stancarsi di elaborare cose e portarle all’attenzione dei decisori, gli enti locali, in modo che possano puntare i piedi per un vero rovesciamento di valori e di tendenze. Sotto questo profilo, mi sembra coerente che l’operazione Camogli (il merito è di regione, Fondazione Carige, Provincia, Comuni di Recco e Camogli, che sono entrati nella stessa Fondazione perché l’hano ritenuta un’operazione di valore. L’operazione Camogli significa cogliere, sull’asse genova-chiavari, una realtà baricentrica, e l’apertura di un volano (alberghiero, artistico). La vera fatica è ribadire il primato della proposta politica. Il Carlo Felice non è tutto, ha detto l’assessore, e dobbiamo dirlo. Al Carlo Felice i lavoratori hanno rinunciato a parte del loro stipendio degli ultimi due anni, e il miracolo è questo, 300 persone che vanno in questa direzione. Ma non è il Carlo Felice l’uinica condizione».
Anna Maria Monteverdi, docente al D.A.M.S. di Imperia, ha poi fotografato la situazione riguardante i teatri minori della stessa Imperia e di La Spezia, soffermandosi in particolar modo su quest’ultima per ipotizzare scenari di possibili utilizzi futuri, a fini artistici, dell’area dell’Arsenale.
Sono intervenuti al dibattito anche Carlo Repetti, direttore del Teatro Stabile di Genova, i direttori dei teatri minori della nostra regione e gli assessori alla Cultura di Provincia e Comune, Anna Maria Dagnino e Andrea Ranieri.