Cronaca

Malasanità, balletto di cifre: da 38 morti al giorno a oltre cento

ambulanza

Balletto di cifre sugli errori in corsia, e a far la differenza è soprattutto il numero di morti. Secondo i dati dell’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), sarebbero 90 i decessi al giorno dovuti a sviste, con un bilancio di oltre 32mila morti l’anno. A questi si aggiungono le 320mila persone che, nel nostro Paese, finirebbero per esserne danneggiate. Secondo l’Aaroi (l’Associazione degli anestesisti rianimatori), invece, le morti per errori medici e problemi organizzativi si attesterebbero a 14mila l’anno, mentre per l’Assinfom raggiungerebbero quota 50mila, e di questi il 50%, secondo l’associazione, poteva essere evitato. Dati discordanti, ma che comunque lasciano di sasso.

A fornirli Gianluca Daino, del Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’università di Siena, che, nel corso del V Forum sul Risk Management di Arezzo, ha ripercorso vari studi condotti sullo scottante tema. Mostrando, tra le altre cose, che gli errori in corsia finirebbero per ‘rosicchiare’ l’1% del nostro Prodotto interno lordo, con una spesa di 10 miliardi l’anno tra costi diretti (ad esempio spese legali e assicurative), indiretti (danno di immagine e demotivazione del personale responsabile) e nascosti (cattiva organizzazione che, ad esempio, produce sprechi). L’errore è più frequente, afferma lo studioso citando dati del Tdm, nei reparti di chirurgia (32%), degenza (28%), pronto soccorso (22%), ambulatorio (18%). Ma aleggia anche in aree specialistiche come ortopedia e traumatologia (16,5%), oncologia (13%), ostetricia e ginecologia (10,8%) e chirurgia generale (10,6%). Il 50% degli errori in un reparto di oncologia avviene in fase prescrittiva, “per omessa compilazione dell’anamnesi o della terapia farmacologica”.

Il 14,5%, invece, si verifica durante la fase di trascrizione della terapia, ad esempio perché il medico non segna la cura in cartella clinica, ma si limita a somministrare i farmaci al paziente. Accanto a queste ‘sviste’, figurano poi quelle legati alla preparazione della terapia, “che si attestano al 23,9% – spiega Claudio Clini, della Fondazione Tor Vergata – e sono dovute, ad esempio, al mancato uso dei guanti o delle mascherine”. La ricerca è stata condotta su 315 pazienti, per un totale di 614 errori. “Ma i ‘record’ relativi a questi malati – tiene a precisare l’esperto – sono oltre mille, il che significa che la percentuale di errore si attesta comunque attorno al 7-8%, dunque non differisce dal dato statunitense, ad esempio”. Ma se i numeri italiani preoccupano, gli altri Paesi non sembrano cavarsela certo meglio, dimostrando che il problema non ha confini geografici. In Usa e Australia fino al 16,6% dei pazienti ricoverati è colpito da un evento avverso: oltre 770 mila sono stati vittime di errori medici.

Nel Regno Unito gli errori in corsia costano 2 miliardi di sterline l’anno solo per problemi legati all’errata identificazione nel paziente; in Nuova Zelanda e Olanda viaggiano su percentuali pari al 12% e al 15%. “L’introduzione di soluzioni di innovazione tecnologica per l’identificazione del paziente e la tracciabilità del percorso terapeutico – secondo Daino – costituiscono una chiave significativa per la riduzione del rischio clinico”. Tra le soluzioni identificate dall’esperto, “l’utilizzo di braccialetti identificativi”, espediente “in grado di ridurre in maniera significativa gli errori in ambiente sanitario”.

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