Liguria, Aids: infezioni in calo, ma un malato su 4 non sa di essere sieropositivo

Claudio Viscoli - Direttore Clinica malattie infettive

Genova. “Quest’anno in Liguria sembrerebbe esserci un certo calo nelle infezioni, ma rimane il problema del sommerso: circa il 25% dei sieropositivi non sa di esserlo”. L’allarme arriva dalla Clinica Malattie infettive dell’ Università di Genova, Azienda Ospedaliera San Martino, attraverso le parole del direttore Claudio Viscoli.

Durante il convegno “Il positivo sommerso: la diffusione del test”, svoltosi oggi nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi, in occasione della giornata mondiale per la lotta contro l’Aids del 1° dicembre, è stata infatti presentata la situazione della diffusione del virus nel mondo, e in particolare l’aspetto del sommerso, ovvero la quantità di persone che è affetta dal virus pur senza saperlo.

“Questi dati evidenziano come potenzialmente molte persone che non si curano, alle quali la malattia verrà diagnosticata solo quando si avranno i sintomi, possono andare in giro a contagiare – ha sottolineato Viscoli –  Questo è il grosso problema sul quale si dovrebbe agire. Ogni anno in Liguria ci sono 100/120 nuove infezioni. Non si tratta di HIV – specifica Viscoli – ma dello stato di malattia”.

Riguardo all’eta media e al sesso dei contagiati i dati parlano chiaro: “Negli anni passati erano molto di più le donne ad essere affette dal virus, ora la situazione è di assoluta parità tra i sessi. Anche se ovviamente la donna durante il rapporto sessuale è a maggior rischio, perchè può ricevere una quantita di virus maggiore attraverso lo sperma. L’eta media è salita progressivamente nel corso degli ultimi 10 anni. Ora si aggira intorno ai 30 anni, ma ci sono persone che scoprono di essere sieropositive a 65/70 anni”.

Nel convegno, patrocinato da comune, Regione, Università e Anlaids, si è quindi specificato come all’inizio l’epidemia da HIV in Italia era dominata, come fattore di rischio, dalla tossicodipendenza per via endovenosa. La presenza di programmi specifici per i tossicodipendenti, facilitava l’accesso al test; infatti questi soggetti potevano essere testati per HIV sia durante i frequanti ricoveri ospedalieri sia qualora accedessero a prgrammi di disintossicazione. Nel corso degli anni l’apidemiologia è andata modificandosi fino a giungere a quella attuale di malattia sessualmente trasmessa.

La persona che acquisisce l’infezione per via sessuale, a differenza del tossicodipendente, non ritiene però di essere a rischio anche se ha avuto rapporti sessuali non protetti. Così negli anni 90 solo una persona su 5 (20%) veniva a conoscenza del proprio stato di sieropositività al momento della diagnosi di Aids, oggi questo avviene in più di un caso su due, in pratica quasi nel 60 % dei casi in fase di malattia conclamata. Dati allarmanti quindi che fanno stimare in 60/80 mila gli italiani sieropositivi che ignorano di esserlo.

“Occorre inziare a ragionare sull’HIV come si fa per le altre malattie infettive – ha spiegato Viscoli – ed è necessario che ognuno si sottoponga con regolarità ai controlli, in modo da incidere sul ritardo della diagnosi. Se vengono individuati i sieropositivi possiamo curarli poichè oggi l’HIV può essere tenuto sotto controllo, evitando nuovi contagi, e contrastando l’epidemia”

Ma qual’e il modo più sicuro per prevenire ogni sorta di contatto con questo virus? Secondo Viscoli, la ricetta è semplice: “Il preservativo rimane, insieme all’astinenza, il mezzo di prevenzione più sicuro”.

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