Liguria. A seguito dell’inchiesta di Report sugli effetti della tragedia dell’Haven, Lega Pesca, condividendo l’attenzione che si rivolge ai gravi problemi dell’inquinamento marino, interviene per lamentare “uno sconveniente e non sano coinvolgimento del settore della pesca professionale. Invece che accendere i riflettori sui danni subiti dai pescatori, o sul ruolo che questi e le loro Associazioni hanno avuto all’indomani della tragedia – scrive in una nota il presidente Ettore Ianì – sia per la bonifica che per l’avvio di indagini e studi si è scelto di spettacolarizzare questi temi con il ricorso a battute di pesca effettuate in aree ancora oggi precluse alla cattura, danneggiando l’immagine della categoria e rischiando di suscitare allarmismi nei consumatori. Con il risultato di rendere la categoria vittima inconsapevole di un elegante e raffinato raggiro.
Se, accanto alle voci dell’industria energetica, dei ricercatori e degli ambientalisti, si fosse deciso di sentire anche i rappresentanti del mondo della pesca, si sarebbe potuto scoprire che nel 1993 Lega Pesca ha finanziato e condotto uno studio per la mappatura della presenza di greggio sui fondali. Indagine che il prof. Eugenio Fresi, ecologo allora responsabile della task force Haven e perito del processo civile, convenne essere l’ unico monitoraggio realizzato in quell’area.
Se i rappresentanti della pesca professionale fossero stati interpellati, oltre ai danni gravissimi e persistenti che il settore economico ha subito, e continua a subire, visto che la bonifica non è mai stata conclusa, si sarebbe potuto anche scoprire – continua Ianì – che a causa del disastro ambientale il 10% della flotta ligure è stato destinato alla demolizione, e che i pescatori allora, come è accaduto più recentemente anche nel Golfo del Messico, hanno svolto un insostituibile servizio di recupero durante le prime attività di bonifica, quando, vietata la pesca, hanno contribuito ad avviare a smaltimento elevate quantità di greggio estratto dai fondali, imbarcandolo sui pescherecci e sbarcandolo sul molo di Savona, dove peraltro è rimasto fermo per anni.
Anche l’immagine del rigetto in mare dei rifiuti da parte dei pescatori mortifica ingiustamente lo sforzo che Associazioni e categoria stanno compiendo per valorizzare, invece, il ruolo di presidio ambientale svolto dagli operatori della pesca professionale. Ancora una volta si tende, nell’esaminare il rapporto tra pesca e ambiente, non sappiamo quanto involontariamente, a scambiare la causa con l’effetto – conclude Ianì- Da una parte c’è uno stuolo di assolti per il processo civile che chiude questa tragedia, dall’altra le vittime, i pescatori, che sembrano essere messe anche sul banco degli imputati.
Un vero peccato che si sia persa invece l’occasione per denunciare l’impatto socioeconomico che questa categoria ha subito e continua a subire a causa dell’inquinamento marino, o per rivendicare l’urgenza di una ricerca sulla biodegradabilità degli idrocarburi e sugli effetti derivanti dall’accumulo di sostanze tossiche e metalli pesanti nella catena alimentare”.