Liguria. Liguria, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Marche. Sono le regioni italiane immuni da errori e gravi casi di malasanità. Lo rivela i dati presentati dalla Commissione parlamentare sugli errori sanitari, che vede la Sicilia in testa con 16 casi registrati, di cui 15 si sono conclusi con la morte del paziente. I casi si sono verificati tra l’aprile 2009 e metà settembre 2010 e sono attualmente all’esame della commissione. Dopo la Sicilia c’é il Lazio, con 9 casi e 6 decessi, e la Calabria, 8 casi e 5 decessi.
In questa tipologia di casi vi rientrano ad esempio il divieto di far donare sangue agli omosessuali imposto dalla regione Lombardia, l’emergenza sangue, i contagi da infezioni prese in ospedale, la carenza di posti letto, le presunte raccomandazioni fatte per superare un concorso, la sanità carceraria e i casi di suicidio in carcere. E tra le criticità strutturali che possono creare il terreno per gli errori vi è anche quella dei punti nascita con meno di 500 parti l’anno, su cui la commissione presieduta da Leoluca Orlando aveva svolto un’indagine, da cui era emerso che un parto su 4 in Italia in strutture che rischiano di non essere adeguate perché sotto la soglia degli 800-1000 l’anno.
Il 66% dei punti nascita italiani svolge meno di mille parti, il 10,47% avviene addirittura in strutture che registrano meno di 500 parti l’anno. Senza considerare il vero e proprio boom di parti cesarei cui si assiste nelle strutture private convenzionate. Se la media nazionale è intorno al 38% (comunque il doppio rispetto alla soglia fissata dall’Oms nel 15%) nelle strutture in convenzione con il servizio pubblico il parto chirurgico il 61,6% (quota che sale addirittura al 76% nel privato non accreditato). La percentuale dei cesarei rispetto al totale più alta è proprio nei punti nascita con meno di 500 parti l’anno (il 42,6% del totale).