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In Vero West non vi è alcun cowboy, ma due fratelli che si specchiano l’uno nell’altro. Lee è il ladruncolo che vive di espedienti e rinnega l’American dream; Austin ha l’Università alle spalle, professione moglie e figli. Questi i dati di partenza ma le carte si mischiano nel duello.
La lotta dei due fratelli è la lotta tra il rifiuto e l’accettazione, apparente, del nostro modo di vivere. È uno scontro che, se avviene sempre dentro le mura della sweet home, non soffre di claustrofobia; in Shepard c’è la presenza costante dello spazio, del deserto, delle grandi distese, della natura.
“Avevi ragione Lee.” Afferma Austin con la lucida ironia dell’ubriaco. “Tutti gli altri vivono la vita. In casa. Al sicuro. Questo è il paradiso, sai? Viviamo il paradiso, qui. Ce n’eravamo scordati”.
Ma questo odioso paradiso non è, almeno in Vero West, ancora morto.
Franco Però, regista della prima messa in scena italiana, gennaio 1986
La grande bellezza di questa scrittura sta non solo nell’aver fatto propria la lezione Pinteriana e Beckettiana, il sottotesto, la capacità di scrivere attorno al vuoto, ma nell’aver ridato sangue ai personaggi e disegnato meglio di chiunque altro lo “stato delle cose” dei nostri giorni.
Luca Barbareschi, Austin nella prima messa in scena italiana, gennaio 1986
Con
Austin / Marco Mesmaeker
Lee / Andrea Scarel
Saul Kimmer / Giovanni Bonavera
La Mamma / Rosanna Ricciardi
Costumi
Anna Alunno
Luci e fonica
Ilaria Piaggesi
Regia
Andrea Scarel