Cornigliano, Pellerano: “Il ponte della nuova strada a mare è troppo basso”

Genova. “È a dir poco paradossale che per superare un ponte di nuova costruzione la ferrovia debba percorre una discesa e poi una salita che penalizzano gravemente l’attività degli operatori portuali del primo scalo del Mediterraneo. Bastava costruire un viadotto stradale più alto”.

Questa la denuncia di Lorenzo Pellerano, consigliere regionale della Lista Biasotti, che ha presentato un’interrogazione urgente in Regione per chiedere delucidazioni sulla situazione denunciata da alcuni terminalisti del porto di Genova in merito alle pendenze del raccordo ferroviario destinato alla movimentazione dei treni merci. Per passare sotto il ponte della nuova strada a mare di Genova Cornigliano i binari a servizio dello scalo compiono prima una discesa e poi una salita; ciò comporta limitazioni alla lunghezza dei treni merci, nonché tempi e costi aggiuntivi determinati dalla necessità di utilizzare due locomotori o locomotori più potenti. Il che si traduce in tariffe più elevate per le manovre ferroviarie.

“Vorrei capire come si è arrivati a un progetto che implica dislivelli tanto inutili quanto anti-economici per il nuovo raccordo ferroviario – commenta Pellerano – un intervento che non ha tenuto conto delle esigenze logistiche degli operatori portuali che ogni giorno utilizzano quei binari per movimentare le merci. La situazione ha dell’incredibile: finalmente sono partiti i cantieri del Terzo Valico dei Giovi – che vede uno dei suoi punti di forza proprio nella riduzione delle pendenze della tratta che porta oltre Appennino – e creiamo nuove pendenze all’interno del porto, realizzando un nuovo collo di bottiglia a pochi metri dalle banchine?

L’obiettivo non dovrebbe essere quello di velocizzare il traffico merci su rotaia per renderlo economicamente più competitivo rispetto a quello su gomma? In quest’ottica non era più semplice prevedere che il nuovo ponte stradale passasse più in alto, senza comportare dislivelli per la ferrovia sottostante? Le ragioni addotte da Sviluppo Genova, la società incaricata dei progetti per la riqualificazione delle aree ex Ilva di Cornigliano – su cui sorge la nuova strada a mare – per spiegare l’inconveniente tecnico non mi pare siano sufficienti a nascondere una visione d’insieme delle nuove infrastrutture quanto meno miope. Un tempo le grandi infrastrutture venivano progettate in funzione e a servizio del porto, in questo caso pare che delle esigenze del porto non si sia tenuto affatto conto. E la replica del vicesindaco di Genova “basta usare locomotori più potenti” è inaccettabile e da il segno della distanza dell’amministrazione comunale dalle esigenze del porto e degli operatori. Forse il Comune di Genova non si rende conto del costo aggiuntivo delle manovre ferroviarie in porto determinato da questo errore di progettazione e della perdita di competitività per lo scalo. E non è la prima disattenzione nei confronti di questo mondo: troppo spesso la classe politica che guida la città guarda al porto – principale motore dell’economia cittadina – con superficialità se non con sospetto, quasi non fosse più consapevole che la storia e il futuro di Genova dipendono molto dalle sue banchine. Penalizzare il porto significa penalizzare la prima industria di Genova e avere scarsa attenzione per la parte più vitale dell’economia del nostro territorio. A questo punto, per rimediare al pasticcio del ponte della strada a mare con annesso sottopasso ferroviario, sarebbe opportuna una presa di responsabilità da parte di chi ha gestito questa operazione urbanistica negli anni e un lavoro di tutte le parti per trovare al più presto una soluzione nell’interesse del porto. Il rischio concreto è che questa vicenda si chiuda con l’ennesimo paradosso: proprio un viadotto troppo basso della strada a mare di Cornigliano, pensata per decongestionare il traffico urbano del quartiere, potrebbe diventare la causa diretta di un maggiore flusso in città di mezzi pesanti diretti in porto, a scapito del traffico su ferro e di un porto più efficiente”.

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