Genova. Pochissimi ne hanno parlato, perché la collina sventrata si vede bene solo dall’autostrada. Da lì il fronte fa quasi impressione, tanto che alcuni, passando sul viadotto Cabinino della A26, si sono allarmati e hanno iniziato a segnalare il caso sui social. Siamo a Fabbriche, in val Cerusa, alle spalle di Voltri, dove domenica notte una grossa frana, lunga 220 metri, si è staccata dal versante di via Costa d’Erca mettendo a rischio quattro abitazioni.
Alla fine l’unico vero sfollato è Salvatore Provenza, che abita – o meglio abitava – in via delle Fabbriche coi suoi due gatti. Evacuato da quasi una settimana, ancora non è noto quando potrà tornare nella sua proprietà. “Ho rischiato grosso, se quella frana mi fosse entrata in casa l’avrebbe trapassata da una parte all’altra“, racconta. In questi giorni ha passato le notti un po’ in albergo, un po’ dalla sorella, un po’ da amici.
A fermare la colata di fango e detriti è stato in pratica il basamento del viadotto, la parte più alta del ‘curvone’ che sale dalla val Cerusa verso il passo del Turchino. All’indomani del nubifragio il geologo del Comune, Giorgio Grassano, ha ispezionato la zona insieme ai tecnici di Autostrade. Non ci sarebbero problemi di stabilità per la struttura, ma sarà impossibile stare tranquilli finché la terra non smetterà di muoversi.
Ma i problemi riguardano pure i terreni in asse con la frana, minacciati anche da una parziale ostruzione del rio Canaletta dove i detriti si sono accumulati. Per la maggior parte si tratta di fasce, poderi e case disabitate. Tranne quella di Provenza, tuttora inagibile, proprio nel punto dove il piccolo affluente si infila in galleria prima di sfogarsi nel Cerusa.
Non è una frana storica, dicono i tecnici, eppure quella di Fabbriche è una storia vecchia. Territorio fragilissimo, in un canalone dove i temporali si incastrano e la pioggia impregna i versanti in poche ore. Se lo ricorda bene chi c’era nel 2014, quando decine di case rimasero isolate per il fango sceso proprio da quei monti. Era il 15 novembre e Genova era troppo impegnata a leccarsi le ferite nella city per ricordarsi dell’estremo Ponente.
Anche oggi, dove un tempo c’erano le cartiere, le frane accadono e poi si scordano. “Finirà di nuovo come cinque anni fa – sospira Provenza – l’erba crescerà sul terreno nudo e nessuno metterà il versante in sicurezza”. Naturalmente i terreni sono in parte privati, circostanza che garantisce il consueto rimpallo di responsabilità e il conseguente immobilismo delle istituzioni. Dai rilievi risulta che il suono si muove ancora verso valle. Per fortuna un timido sole è uscito ad asciugare la terra, sperando che la pioggia non faccia ancora male da queste parti.