Cronaca

Omicidio Molassana, Beron: “Guido Morso aveva un coltello”. E su N’Diaye: “Mi ha puntato la pistola e costretto a incaprettare Davide”

Il ‘teste-chiave’ smentisce l'ex amico Marco: “La pistola era sua Voleva sapere chi aveva messo zizzania con i Morso"

Sparatoria a Molassana, un morto

Genova. Non vede l’accoltellamento di Di Maria ma dice di aver visto all’improvviso Guido Morso colpire da dietro con un coltello Marco N’Diaye Cristian Beron. Amico di Marco N’Diaye e indagato anche lui per rissa aggravata dalla morte, il 32enne ha preparato molto bene la sua testimonianza la cui attendibilità come quella degli altri protagonisti della vicenda – tutti imputati – dovrà essere valutata dalla Corte d’assise presieduta da Marina Orsini. Beron, ed è questa la novità di oggi, è l’unico che vede improvvisamente comparire un coltello (“che potrebbe essere quello che portava abitualmente Guido Morso – dice – l’avevo anche visto una volta a casa sua”), ma non vede l’accoltellamento fatale a Di Maria, così come non lo vede più quando i Morso afferrano le due pistole e scappano.

Non è detto che questa testimonianza possa svoltare davvero il processo che vede il 34enne Guido Morso unico imputato di omicidio, ma è certo che oggi Beron ha preso le distanze da tutti i suoi ormai ex amici.

In primis il 32enne di origini brasiliane se la prende con Gabriele Morso, il fratello di Guido (che in questo processo non è chiamato in causa se non per la vicenda della moto acquistata e poi data in uso a Marco N’Diaye e poi sottrattagli nuovamente): “Non era uno con cui una persona normale potesse avere a che fare, a me non faceva altro che chiedere favori”. Gabriele Morso è colui che di fatto aveva fatto conoscere Cristian e Marco.
Ma Beron ci va giù pesante anche rispetto ad N’Dyaie raccontando rispetto alla pistola e all’utilizzo delle fascette che sono state trovate sul corpo di Di Maria una versione assolutamente opposta a quella fornita ieri da N’Dyaie. “Sono arrivato a casa di Marco dopo che lui aveva insistito tanto e l’aveva messa sul piano personale del tipo che se non fossi andato non saremmo più stati amici – racconta Beron – Mi aveva fatto comprare dei prodotti per la pulizia, poi però quando sono arrivato l’ho trovato ubriaco con una bottiglia di vodka in mano.Ha detto che voleva sapere come mai i rapporti con i Morso si erano incrinati. Lui pensava che fosse colpa mia o di Davide ipotizzando che avessimo messo noi zizzania. Ci siamo messi a urlare poi lui ha tirato fuori una pistola da dentro un cuscino, una grossa pistola cromata”.

Poco dopo nel piccolo appartamento di Molassana arriva anche Di Maria: “Io sono andato ad aprire il cancello ed ero spaventato a morte. Quando Davide mi ha chiesto cosa avessi peò ho mentito, ho detto che mi ero fatto per spiegare la mia faccia”. Appena Di Maria entra in casa Marco, secondo il racconto di Beron sempre con la pistola in mano, impone agli amici quello che chiama “un gioco”. Prima chiede a Di Maria di legarsi con le fascette le mani messe sul davanti e poi gli chiede di liberarsi. Lui ci riesce. “Allora mi chiede di legarlo da dietro, di incaprettarlo insomma con le mani legate e i piedi legati a loro volta. Lì davide ha cominciato ad avere paura sul serio”.

Secondo Beron addirittura “Marco forse pensava che Davide avesse mentito sulla storia del ‘mangiabanane’, l’insulto che Guido Morso avrebbe pronunciato nei suoi confronti, per questo voleva capire se Davide avesse detto o no la verità”. In realtà da lì a poco arrivano i Morso. Di Maria si trova legato faccia a terra ed è ancora una volta Beron ad andare ad aprire. Perché non avverte i Morso di una situazione potenzialmente pericolosa? “Mica dovevo fare io il salvatore della patria – dice l’italo-brasiliano – temevo che poi Marco sarebbe venuto armato a cercare me”. Appena entra Vincenzo Morso e vede N’Diaye armato “che dice qualcosa in napoletano”, il ‘vecchio’ Morso tira a sua volta fuori la pistola e comincia il confronto fisico. Di Maria è ancora a terra legato, Guido Morso resta sull’uscio e Beron, che non è esattamente un cuor di leone, si sdraia a terra e poi cerca di ripararsi con uno sgabello.
Davide Di Maria ad un certo punto “riesce a liberarsi e si getta nella colluttazione verso Marco. Li voleva separare. Continuava a dire basta cosa state facendo”.

Poi una pistola finisce nelle mani di Guido Morso che spara: “Lì mi sono tirato su – dice – e poi Morso ha puntato l’arma verso di me per sparare ma l’arma si è inceppata quindi mi ha colpito con il calcio di una pistola e sono svenuto per un attimo”.
Beron non vede Di Maria uscire dalla casa ma all’improvviso dice di aver visto Guido Morso da dietro colpire con un coltello Marco N’Diaye. Poi esce anche lui per fuggire e vede Davide riverso a terra sulle scale.
Dopo che i Morso sono fuggiti lui racconta di aver preso l’astuccio con i proiettili e di averlo gettato in giardino (in realtà verrà trovato tre giorni dopo ben nascosto sotto un mattone). Dopo che N’Diaye il 18 sera esce dall’ospedale si offre di ospitarlo e concordano la versione delle fascette come gioco (“mi sentivo coinvolto per quelle fascette, ma io le avevo messe in modo da non fare male a Davide” si è difeso più volte), ma poi non se la sente e in Questura comincia a raccontare la ‘sua’ verità.

Dopo l’esame di oggi che fornisce l’ennesima versione di quanto accaduto nel mini-appartamento preso in affitto da N’Diaye, il pm ha rinunciato al confronto tra gli imputati. Il processo proseguirà il 22 gennaio con i testi di parte civile.

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