Genova. “Eravamo nove o dieci, personalmente non li conoscevo nemmeno tutti perché l’idea di andare a volantinare è nata all’improvviso non come una decisione dell’assemblea. Volevamo fare controinformaizone come abbiamo già fatto in quella zona in altre occasioni”. A parlare è uno degli antifascisti che venerdì sera ha partecipato al volantinaggio vicino alla sede di CasaPound in via Montevideo culminato nell’aggressione a un militante che ha portato all’apertura di un’inchiesta per tentato omicidio.
“Siamo partiti da piazza Alimonda – racconta l’attivista che chiede di rimanere anonimo – che non è soltanto un luogo simbolico ma ha uno spazio pubblico di affissione dove attaccare i manifesti del corteo del 3 febbraio. Da lì abbiamo messo un po di volantini su Casapound che avevamo preparato tempo fa sulle macchine e siamo passati in via Caffa e da lì in piazza Tommaseo, dove c’è un altro spazio di affissione. Anche in piazza Tommaseo abbiamo fatto il giro della piazza. Arrivando al massimo all’imbocco con via montevideo. Sapevamo che la sede era aperta e non avevamo certo intenzione di avvicinarci”.
Mentre prosegue il volantinaggio “a un certo punto sentiamo urlare ‘Daje, prendilo’ e vediamo venir giù di corsa dalla sede un primo gruppo con bottiglie e cinghie” racconta l’attivista. Abbiamo cominciato a scappare diretti verso corso Buenos Aires ma un gruppetto di 3-4 di noi è rimasto lievemente indietro ed è stato raggiunto”.
L’attivista è un amico dell’antifascista rimasto ferito ma la scena dell’aggressione lui non l’ha vista: “Non mi ero nemmeno accorto che c’era il mio amico tra quelli rimasti indietro. E’ successo tutto nel giro di cinque minuti, poi siamo riusciti a riunirci in zona corso Buenos Aires. Lì il mio amico si è accorto che il dolore che provava alla schiena era dovuto a una ferita e perdeva sangue”.
Una cosa però l’attivista l’ha notata: “Quelli che ci sono venuti addosso erano tutti giovanissimi e tutti uomini. Al contrario di quello che hanno scritto nel comunicato di Casapound di donne non ne abbiamo visto quella sera. Brandivano bottiglie, che hanno continuato a lanciarci addosso fino in corso Buenos Aires e cinghie. Qualcuno di noi ha visto anche dei bastoni, io personalmente no”.
L’attivista è ancora sotto shock, così come i suoi compagni di disavventura: “Abbiamo tutti ormai una certa età – dice – e non eravamo certo preparati a un assalto violento fatto da ragazzini. Io non sono nemmeno un militante dell’assemblea antifascista, anche se sono andato a qualche riunione. Non faccio parte di nessun gruppo, sono un semplice attivista indignato che voleva fare informazione in modo assolutamente pacifico. Fa strano pensare che da oggi anziché andare a volantinare in tre o quattro come abbiamo sempre fatto, dovremo farlo in cinquanta per stare tranquilli”.