Genova. Caro Francesco,
Vogliamo con umiltà porgerti il nostro benvenuto. Ci rivolgiamo a Te con doveroso rispetto ma anche con istintivo affetto. Ci perdonerai pertanto se mettiamo da parte il forse più opportuno “Sua Santità” e Ti chiamiamo per nome, come si fa con un Padre. Lo facciamo perché Ti sentiamo vicino e abbiamo apprezzato, fin dal primo giorno, l’universalità e la forza gentile della Tua predicazione. Siamo credenti e non credenti, appartenenti a diverse confessioni o a nessuna. Persone con storie e provenienze le più diverse che toccano tutti i continenti. Uomini e donne, di ogni orientamento sessuale. Siamo persone semplici, ognuna diversa dall’altra, ma tutte unite da comuni valori, gli stessi che, come tanti, ritroviamo ogni giorno nelle Tue parole.
La Tua visita a Genova cade in un momento cruciale per la città.
Una città dall’orizzonte incerto, gravido di possibilità ma anche appesantito da inquietudini e paure. Un territorio che negli ultimi decenni ha sofferto le ferite della crisi economica e sociale, figlia del lato inumano di questa globalizzazione che ha alimentato anche qui una povertà dalle tante crudeli facce. Una città sempre più vecchia che vede fuggire i suoi giovani in cerca di un futuro migliore e in cui le solitudini non sono più l’eccezione ma un male diffuso. Una città che pur dimostrandosi ancora una volta capace di accoglienza, ha visto crescere, insieme alla paura, un sentimento di intolleranza dapprima strisciante e poi via via più manifesto.
Genova ha bisogno di riscoprirsi aperta, metropoli cosmopolita, patria solidale e accogliente. Non è facile al tempo in cui la sofferenza cresce e l’odio travolge sempre più spesso la vita. Per questo sentiamo il bisogno di parole capaci di ricondurci a un senso comune, di farci sentire tutti, credenti e non credenti, parte del comune cammino dell’umanità.
Benvenuto Francesco! Non conosciamo cosa ci dirai, ma sappiamo che oggi più che mai la nostra Genova ha bisogno delle Tue parole.
Con umiltà.
Gli uomini e le donne di Genova Cambia