Genova. “Non faccio sconti ai Messina, non possiamo quantificare la vita di mio figlio, perché semplicemente non esiste una somma adeguata”. Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa, una delle vittime del crollo della Torre Piloti del porto di Genova, torna a parlare a pochi giorni dall’inizio dell’udienza preliminare, fissata al 15 luglio.
Lo fa per ribadire la sua contrarietà a qualsiasi ipotesi di risarcimento, offerto a tutte e nove le famiglie delle vittime di Molo Giano dalla compagnia di navigazione Ignazio Messina. “Ci hanno detto – spiega – che possiamo chiedere quello che vogliamo. Io però non posso stare zitta e ho rispedito la proposta al mittente. Io sopravvivo solo per avere finalmente giustizia per mio figlio”.
Il 7 maggio 2013 la nave cargo Jolly Nero, in manovra all’interno del porto, urtò la banchina, causando il crollo della Torre. Furono ore tragiche e disperate, per una delle più grandi tragedie della storia dello scalo genovese.
Ma il processo giudiziario che sta per iniziare per la tragedia non soddisfa la signora Chiello: “Ho fatto di tutto per far rientrare la questione su dove è stata costruita la Torre nel dibattimento, non mi arrendo, ma non mi aspetto granché dalla Procura. Le altre famiglie accettano il risarcimento perché sono demoralizzate, perché la prospettiva è quella di combattere contro una macchina più grande di loro. Li capisco, però mi chiedo: dove è scritto che debba finire tutto in una bolla di sapone?