Cronaca

Carceri, in Liguria “rottamati” gli psicologi penitenziari: “Messi da parte dopo vent’anni di lavoro”. E i detenuti protestano

Genova. Rottamati dopo vent’anni di esperienza da una circolare del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e sostituiti da giovani appena usciti dalle scuole di criminologia che si trovano, praticamente senza esperienza alle spalle, a valutare la pericolosità sociale e le effettive probabilità di recidiva o di suicidio di assassini, serial killer o, comunque, detenuti in carcere per gravi reati. E’ quanto sta accadendo in tutta Italia dei circa 100 psicologi e e criminologi penitenziari che lavorano nelle carceri italiane a partire dagli anni Ottanta.

“Tutto è partito dalla circolare del Dap dell’aprile 2013 che ha stabilito che, al contrario di quanto avvenuto finora con contratti rinnovati annualmente, gli psicologi penitenziari non possano restare più di 4 anni presso lo stesso istituto” racconta Laura Ferro, classe 1965 e vent’anni di esperienza alle spalle soprattutto nelle carceri di Marassi e Chiavari.

“A seguire alcuni provveditorati regionali, non tutti a dire il vero, si sono mossi emanando nuovi bandi per formare le graduatorie” spiega la psicologa genovese. In ogni regione le regole sono state diverse: “In Liguria sono stati attribuiti punteggi più alti ai laureati in criminologia o a coloro che abbiano conseguito master o tirocini dopo il 2005, mentre nessun punteggio a chi poteva vantare decenni di esperienza sul campo”. Così su una decina di criminologi e psicologi “esperti” che lavoravano da sempre sul territorio solo una è entrata nella fantomatica graduatoria, gli altri sono stati lasciati a casa.

Licenziati quindi, senza essere mai stati assunti perché per legge gli psicologi penitenziari possono lavorare solo come liberi professionisti a partita Iva per un massimo di 64 ore al mese e una “parcella” oraria di 17.63 euro (lorde). L’attività di “osservazione e trattamento” e le relazioni periodiche degli psicologi sono fondamentali per il parere che la direzione del carcere darà al magistrato di sorveglianza in merito alla concessione di permessi premio o misure alternative alla detenzione. Un lavoro difficile e insidioso anche se sottopagato e senza tutele.

“Ovviamente, oltre a svariate interrogazioni parlamentari, ci stiamo muovendo a livello nazionale con alcuni ricorsi e per questo alcune regioni come la Toscana e le Marche hanno concesso una proroga dei nostri contratti per consentirci di lavorare finché il tribunale amministrativo non si sarà espresso in merito, ma in Liguria questo non è accaduto”.

Laura Ferro ha conosciuto e seguito praticamente tutti i casi più eclatanti che hanno riguardato la nostra regione, da Donato Bilancia a Bartolomeo Gagliano da Antonio Rasero a tanti criminali meno noti, ma altrettanto impegnativi: “Ho seguito tutti i casi di omicidio della Liguria ad eccezione di Delfino, e spesso mi sono ritrovata i detenuti passare da Chiavari a Genova potendo così proseguire il percorso educativo. E ora molti di loro stanno protestando, perché si ritrovano davanti facce nuove che non li conoscono e devono ripartire da zero. Che senso ha tutto questo? Addirittura un ragazzo mi ha scritto una lettera firmata e minaccia il suicidio se non sarà più seguito da me, ma in questa situazione noi siamo fuori, ci sentiamo abbandonati e siamo costretti ad abbandonare chi con noi aveva instaurato quel rapporto di fiducia che è alla base di qualunque percorso rieducativo”.

Rispetto alle motivazioni che hanno portato il Dap a una scelta quantomeno discutibile la psicologa genovese non ha dubbi: “Il ministero aveva evidentemente paura che dopo tanti anni di lavoro precario, sottopagato e senza tutele di alcun tipo molti gli facessero causa per chiedere la stabilizzazione. Ma ha sbagliato perché è proprio ora, che ci stanno lasciando a casa, che molti stanno avviando anche ricorsi individuali per chiedere il riconoscimento di tanti anni di lavoro”.

Intanto a Genova la disperazione e lo stress di aver perso il lavoro dopo vent’anni ha fatto registrare anche un episodio tragico: “Un nostro caro collega, Raimondo Solazzo, dopo vent’anni di lavoro soprattutto nel carcere di Pontedecimo, si è ritrovato a casa. E’ stato l’unico a rifiutare esplicitamente di presentarsi alle nuove selezioni e dal 1 di aprile ha smesso di lavorare. Venti giorni dopo è morto di infarto. I parenti mi hanno dato il permesso di raccontare la sua storia perché Raimondo era molto arrabbiato per il fatto di dover lasciare un lavoro a cui teneva molto”.

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